FAMIGLIA.

è iniziato tutto così.
Dopo qualche saluto:
– Da quanto tempo non ci vediamo?
Credo 15 anni..
– …forse 20.

Un invito a un matrimonio di famiglia. Una Zia che ha sposato uno Zio che era, in ogni caso, già Zio.
Un treno verso Milano, un cuore con spazio per nuove emozioni, una testa incosciente di riflessioni con echi potenti e sonori, colpe da attribuire, ammende da fare.

…ma partiamo analizzando la cosa più facile: le colpe da attribuire agli altri. Vi siete allontanati da loro. Vi siete e ci avete fatto costruire la nostra vita lontano. Abbiamo per qualche periodo mantenuto i rapporti a distanza ma la quotidianità, l’esserci, il vivere insieme, non mi è stato possibile. Il tuo carattere scontroso papà, le tue debolezze mamma, in un misto fritto che ci ha portato a crescere senza una zia da chiamare per un problema, senza un cugino con il quale confrontarci, senza un sentimento che ieri ha fatto sentire la sua mancanza. Quel sentimento chiamato famiglia, quell’emozione di viversi e di costruire ricordi dei quali sorridere e piangere. Quel vuoto di forse 20 anni che mai e poi mai potrà essere dimenticato ma di cui l’eco parla: una voce di un ricordo urlato che torna indietro, ti investe e ti tramortisce. Quell’eco che ti torna davanti al viso e ti urla tutto quello che non sai, tutto quello che è successo e in cui non c’eri, quel vuoto che torna e ritorna.

Così da ieri non penso ad altro che a quello che poteva essere e che non è stato.
Non penso ad altro che a quel vuoto di quell’emozione chiamata Famiglia.
Un’emozione che smuove le persone a fare cose assurde, poeti e letterati a scrivere.
Quell’esserci l’un l’altro, quell’organizzare una cena o qualsiasi altra cosa…
solo per stare insieme.

E poi ad un tratto non sono più bambino e le mie colpe me le prendo anche se è difficile che cresca la pianta se non metti il seme sotto la terra, se non lo innaffi, se non ha il sole… e poi i ricordi, l’idea che il tempo non sia passato se non in positivo, mi ha schiaffeggiato. Ieri si è preso gioco di me. Ieri mi ha fatto piangere di fronte a un ricordo di una persona che era un’esplosione di forza e che adesso per la maledetta genetica, fa fatica a parlare.
Ho capito il senso delle fotografie di famiglia che si fanno ai matrimoni.
Ho capito cosa vuol dire guardare una foto e piangere.
Ho capito le colpe e gli errori.
Ho capito che ci sono cose che capitano e non puoi fare nulla.
Ho capito cosa voglia dire sentirsi impotenti.
Ho capito come un abbraccio possa essere tutto quello che hai da dare anche se

…anche se ho ancora gli occhi lucidi, la voglia di urlare e arrabbiarmi… ma con chi? e per cosa? e poi? Il vuoto rimane vuoto. I ricordi non ci sono. Puntare il dito è solo mettersi una maschera davanti alla faccia.

Poi penso che ieri un ricordo lo abbiamo creato. Le emozioni provate ci sono state perché le sento ancora dentro che urlano, cercando pace, cercando la loro collocazione tra il bene e il male. Ripenso, penso e analizzo… gli occhi diventano lucidi ancora.

Ieri, in ogni caso, ha vinto sempre e comunque l’Amore: il prendersi cura dell’altra persona più che di stessi, quell’Amore che da 1 a 10 vale 100, l’esserci…

perché è l’Amore che rende tutto così speciale.

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